
La malattia, il corpo e la mente
Un tempo gli uomini convivevano con la dimensione dell’imprevisto. Legate e dipendenti dagli eventi naturali, al ciclo delle stagioni le persone mettevano in conto e accoglievano quanto gli accadeva. Si sentivano, anzi si mettevano nelle mani di qualcuno o di qualcosa. Poteva essere la provvidenza, il destino o semplicemente il padrone. Oggi, uomini emancipati, ci sentiamo liberi da questi condizionamenti e forti della libertà conquistata pensiamo di essere gli artefici del nostro destino, delle nostre scelte. Organizziamo la nostra vita, facciamo piani a breve e a lungo termine sicuri che tutto procederà come programmato. Anche gli imprevisti sono sotto controllo.
Capita però che si presentino imprevisti “non previsti” che riguardano ad esempio la salute. Imprevisti che ti impediscono letteralmente di muoverti come essere colpiti da una lombo sciatalgia.

La buona salute è la condizione prima del nostro agire, del nostro vivere. La diamo per scontata, sottintesa. È l’ultima cosa che pensiamo possa venir meno. Invece la malattia ci ricorda che il corpo fisico è parte integrante della persona che siamo e non possiamo trascurarlo nemmeno per coltivare la mente.
28 giugno 2009
In ospedale

Mi guardo intorno, osservo i movimenti degli infermieri, il loro entrare nella stanza, occuparsi dei pazienti, uscire. Mi rendo conto che seguono delle ruotine precise. Il tempo è scandito da routine e questo, permettendoti di prevedere quello che avverrà nelle prossime ore, è rassicurante.
Penso che è il mio primo ricovero. Mi pare di approfittare della situazione, di abusare di un servizio che invece dovrebbe essere riservato a chi ha problemi di salute più seri come il simpatico nonnetto disteso immobile sul letto accanto al mio, reduce da una caduta dove si è fratturato una braccio, un piede e una vertebra. Mi pare che il trattamento riservatomi sia “troppo” rispetto alle mie reali necessità. È strana perché nuova questa sensazione di essere nelle mani di altri che si prendono cura di me. Posso non preoccuparmi, altri lo fanno per me. Non c’è bisogno che tenga tutto sotto controllo, posso lasciarmi andare, abbandonarmi nelle mani di altri di cui posso fidarmi. Ha qualcosa di familiare questa sensazione dolce, protettiva, rassicurante e mi chiedo quando ancora ho provato qualcosa di simile.
Dalle profondità della memoria emotiva emergono sensazioni provate nell’abbandono nell’abbraccio materno.
29 giugno 2009
Il “pappagallo”

Fare “pipì” distesi non è affatto naturale. Non viene spontaneo. Tanto più se lo devi fare in una stanza dove ci sono altre persone e pensando che poi sono le infermiere a doverlo svuotare. Cerchi di convincerti che in ospedale è cosa normale, all’ordine del giorno e nessuno ci fa caso, ma ti vergogni ugualmente. Ma questo è niente: per “altri” bisogni si usa la “padella”. Fortunatamente non ho avuto bisogno di fare anche questa esperienza umiliante.
30 giugno 2009
Non tutto il male viene per nuocere


02 luglio 2009
interessante
RispondiEliminaBentornato :-)
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